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A Painting Cycle | Conversazione con Luca Bertolo

Luca Bertolo, Il buon futuro di una volta #4, 2011. Installation view, Nomas Foundation, Rome. Ph. Giuliano Pastori Luca Bertolo, Et in arcadia ego (detail), 2007-2009. Installation view, Nomas Foundation, Rome. Ph. Giuliano Pastori Luca Bertolo, Untitled, 2007. Installation view, Nomas Foundation, Rome. Ph. Giuliano Pastori Luca Bertolo, Still Life, 2011. Installation view, Nomas Foundation, Rome. Ph. Giuliano Pastori

3 maggio 2012

Luca Bertolo procede nella sua ricerca nell’universo pittura con una pratica eterogenea, indagandone l’aspetto concettuale e quello figurativo attraverso un registro intimistico.

Nomas Foundation: Se dovessi descrivere il tuo lavoro attraverso delle parole chiave, quali utilizzeresti?
Luca Bertolo: Attenzione Apparenza Cura Difficoltà Enigma Leggerezza Sorpresa

NF: Quando hai iniziato a interessarti di pittura e in che modo essa è diventata parte del tuo vocabolario?
LB: La pittura è una forma di amore. Sono cose di cui ci si rende conto nella prima adolescenza. Prima i bambini si toccano ma non sanno ancora che quello è erotismo. Quanto al vocabolario... in tedesco suona Wortschatz, mi piace perché Schatz significa tesoro, usato anche metaforicamente, come da noi: - Ehi Schatz, andiamo al cinema stasera? Vocabolario: le parole che costituiscono un tesoro. Beh, credo che ce lo costruiamo pian piano, questo tesoro, in ogni ambito (tesoro-pittura, tesoro-dolore, tesoro-consapevolezza etc). Quando andavo dai nonni friulani in vacanza, una volta – avrò avuto otto o dieci anni – mi misi a dipingere un quadretto, una copia di un cesto di frutta. Ricordo che mio nonno, mosaicista, ogni tanto veniva in cucina e si metteva dietro di me a spiare quello che stavo facendo. - Devi sporcare i colori, - disse, - non metterli giù così come escono dal tubetto! Ricordo quel piccolo shock: sporcare. Benvenuto nella vita adulta, benvenuto nel regno dei compromessi.

NF: Quali caratteristiche della tua ricerca vengono evidenziate attraverso i lavori presentati in occasione di ‘A Painting Cycle’?
LB: Credo che siano le curatrici o ancor più i visitatori della mostra i migliori candidati per rispondere a questa domanda. A me bastava che questa mostra rendesse conto della varietà incondizionata del mio procedere dentro la pittura.

NF: Qual'è il carattere che definiresti specifico della pittura?
LB: Il silenzio. Come ha detto una volta Tal R - un bravissimo pittore danese - a fine giornata il quadro chiede solo di starsene lì buono, appeso, ad asciugare in silenzio.

NF: La maggior parte del tuoi lavori è parte di una serie che spesso viene sviluppata in un arco di tempo molto lungo, e a volte non è definitivamente conclusa. Altri lavori invece esulano da questa logica. Perché, e come, affronti questi due aspetti o modalità del tuo lavoro?
LB: La serie, nel mio caso, si interrompe quando smette di sorprendermi. Come dice il filosofo Gilles Deleuze in un'intervista, il nocciolo filosofico dell'alcolismo è questo: si tratta di arrivare fino al penultimo bicchiere; l'ultimo ci metterebbe KO e il giorno dopo non si potrebbe ricominciare. Poi ci sono i quadri singoli, solitari, mai abbastanza lodati (perché ancora meno spendibili culturalmente, perché ancor più restii al Discorso). Sempre che siano riuscite, è ovvio, queste opere cui si addice propriamente il termine fuoriserie appartengono a quella categoria che comprende l'incontro fortuito sul treno, il sogno, e quel trasecolare improvviso, potente, che pure non si inscrive, apparentemente, nella serie di avvenimenti che lo precedono o lo seguono.

NF: Che cosa significa fare pittura oggi, e in che modo il tuo lavoro riflette, oltre alla tua personale ricerca, quelle che sono le alterne vicende della pittura e della sua ricezione nel suo sviluppo storico?
LB: La cosiddetta ricezione della pittura è un tema delicato, e credo che lo spazio per le risposte sia già finito. Diciamo che ci importa l'arte, se ci importa, e questo è già qualcosa di gigantesco.


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