A Painting Cycle | Conversazione con Luca Bertolo
3 maggio 2012
Luca Bertolo procede nella sua ricerca nell’universo pittura con una pratica eterogenea, indagandone l’aspetto concettuale e quello figurativo attraverso un registro intimistico.
Nomas Foundation: Se dovessi descrivere il tuo lavoro attraverso delle parole chiave, quali utilizzeresti?
Luca Bertolo: Attenzione Apparenza Cura Difficoltà Enigma Leggerezza Sorpresa
NF: Quando hai iniziato a interessarti di pittura e in che modo essa è diventata parte del tuo vocabolario?
LB: La pittura è una forma di amore. Sono cose di cui ci si rende conto nella prima adolescenza. Prima i bambini si toccano ma non sanno ancora che quello è erotismo. Quanto al vocabolario... in tedesco suona Wortschatz, mi piace perché Schatz significa tesoro, usato anche metaforicamente, come da noi: - Ehi Schatz, andiamo al cinema stasera? Vocabolario: le parole che costituiscono un tesoro. Beh, credo che ce lo costruiamo pian piano, questo tesoro, in ogni ambito (tesoro-pittura, tesoro-dolore, tesoro-consapevolezza etc). Quando andavo dai nonni friulani in vacanza, una volta – avrò avuto otto o dieci anni – mi misi a dipingere un quadretto, una copia di un cesto di frutta. Ricordo che mio nonno, mosaicista, ogni tanto veniva in cucina e si metteva dietro di me a spiare quello che stavo facendo. - Devi sporcare i colori, - disse, - non metterli giù così come escono dal tubetto! Ricordo quel piccolo shock: sporcare. Benvenuto nella vita adulta, benvenuto nel regno dei compromessi.
NF: Quali caratteristiche della tua ricerca vengono evidenziate attraverso i lavori presentati in occasione di ‘A Painting Cycle’?
LB: Credo che siano le curatrici o ancor più i visitatori della mostra i migliori candidati per rispondere a questa domanda. A me bastava che questa mostra rendesse conto della varietà incondizionata del mio procedere dentro la pittura.
NF: Qual'è il carattere che definiresti specifico della pittura?
LB: Il silenzio. Come ha detto una volta Tal R - un bravissimo pittore danese - a fine giornata il quadro chiede solo di starsene lì buono, appeso, ad asciugare in silenzio.
NF: La maggior parte del tuoi lavori è parte di una serie che spesso viene sviluppata in un arco di tempo molto lungo, e a volte non è definitivamente conclusa. Altri lavori invece esulano da questa logica. Perché, e come, affronti questi due aspetti o modalità del tuo lavoro?
LB: La serie, nel mio caso, si interrompe quando smette di sorprendermi. Come dice il filosofo Gilles Deleuze in un'intervista, il nocciolo filosofico dell'alcolismo è questo: si tratta di arrivare fino al penultimo bicchiere; l'ultimo ci metterebbe KO e il giorno dopo non si potrebbe ricominciare. Poi ci sono i quadri singoli, solitari, mai abbastanza lodati (perché ancora meno spendibili culturalmente, perché ancor più restii al Discorso). Sempre che siano riuscite, è ovvio, queste opere cui si addice propriamente il termine fuoriserie appartengono a quella categoria che comprende l'incontro fortuito sul treno, il sogno, e quel trasecolare improvviso, potente, che pure non si inscrive, apparentemente, nella serie di avvenimenti che lo precedono o lo seguono.
NF: Che cosa significa fare pittura oggi, e in che modo il tuo lavoro riflette, oltre alla tua personale ricerca, quelle che sono le alterne vicende della pittura e della sua ricezione nel suo sviluppo storico?
LB: La cosiddetta ricezione della pittura è un tema delicato, e credo che lo spazio per le risposte sia già finito. Diciamo che ci importa l'arte, se ci importa, e questo è già qualcosa di gigantesco.